10cose da sapere... Sui vestiti che indossiamo

1) Numeri

Oggi il fashion vale 2,5 migliaia di miliardi di dollari a livello globale (In Italia nel 2021 ha raggiunto i 100 miliardi), e non accenna a smettere di crescere. I consumatori di oggi comprano il 60% in più rispetto al 2000, ma l’85% di questi acquisti finisce in discarica, e solo l’1% di questi scarti viene riciclato o rigenerato.

L’Africa è il continente su cui viene riversata la maggior parte dei vestiti (anche di pessima qualità) scartati dai Paesi occidentali. 

Ogni anno in Ghana, ad esempio, arrivano 130.000 tonnellate di abbigliamento (circa 780 milioni di capi), e il 40% di questi capi si trasforma in rifiuto ad una settimana dallo sbarco al porto, anche e soprattutto a causa della mancanza di un’industria locale in grado di gestirne la raccolta e il riciclo in modo efficiente.

 

 

Ci sono poi da considerare gli aspetti legati alle condizioni dei lavoratori del settore perché è un dato di fatto: ormai la sovrapproduzione di vestiti sta facendo diminuire i salari di lavoratori e lavoratrici dell'abbigliamento. Questo modello di consumo è insostenibile sia per i lavoratori delle filiere dell’abbigliamento, sia per il pianeta. È sempre più urgente un cambiamento radicale.

 

E poi c’è la questione dell’impatto ambientale delle produzioni. Il comparto moda è responsabile globalmente del 20% dello spreco totale di acqua, del 10% di emissioni di anidride carbonica e del 24% dell’uso di insetticidi.

Anche perché, per fare un paio di esempi: per realizzare una t-shirt servono 2.700 litri d’acqua; per realizzare invece un paio di jeans ne servono 10.000 litri (corrispondenti a circa 400 docce).

 

2) Alternative

Quali alternative considerare, per continuare ad essere consumatori felici ma più sostenibili e consapevoli?

Innanzitutto il secondhand, che sta crescendo a ritmi estremamente sostenuti grazie soprattutto alla Generazione Z (il 62% di loro afferma di andare a fare shopping nei negozi di seconda mano prima che acquistare capi nuovi).

Nel 2021, secondo Statista, il valore del mercato globale dell’abbigliamento secondhand ha raggiunto i 96 miliardi di dollari, e la stima è che entro il 2026 questa cifra superi 218 miliardi. Per un numero sempre crescente di persone, quindi, l’usato è la propria prima scelta. E questo fa molto bene all’ambiente, perché se ogni capo in circolazione fosse indossato mediamente il doppio delle volte le emissioni di gas serra si ridurrebbero del 44%. 

 

Lasciando da parte il secondhand possiamo inserire nella famiglia delle alternative virtuose anche le produzioni realizzate con materiali rispettosi dell’ambiente. Per citarne alcune: 

- il cotone biologico od organico, che rispetto al cotone da produzione convenzionale consente un risparmio idrico del 71% 

- la cosiddetta “seta non violenta”

- fibre create con materiali di scarto come il nylon ECONYL®, che è 100% circolare perché creato riutilizzando reti da pesca, scarti di tessuto, moquette usate e plastica industriale; la pelle vegan Vegea creata utilizzando la vinaccia; i tessuti dell’azienda catanese Orange Fiber creati con gli scarti della produzione del succo di agrumi (circa 700mila tonnellate all'anno. E così via

- Le produzioni che utilizzano filati o tessuti di giacenza, quindi già prodotti e rimasti inutilizzati.

 

3) Buone abitudini

Se ci serve un capo particolare, oppure se ne abbiamo in esubero, cosa possiamo fare? L’acquisto e la discarica sono le uniche opzioni? Assolutamente no! Ecco qualche idea alternativa:

- gli swap party, ossia degli appuntamenti gratuiti a cui partecipare per cedere vestiti e accessori ancora in buono stato e recuperarne di “nuovi”

- i mercatini e le raccolte benefiche delle ONP

- il noleggio e l'upcycling/riparazione.

 

4) Neologismi

Upcycling, che descrive il riutilizzo di capi ed oggetti per creare un prodotto di maggiore qualità, reale o percepita. 

L’upcycling è quindi diverso dal recycling, il riciclo, il cui obiettivo a volte è quello di far tornare un oggetto alla stessa funzione.

Fast Fashion, che descrive i capi di abbigliamento che passano direttamente dalle passerelle alla produzione in modo rapido ed economico. 

Greenwashing, traducibile come “ecologismo di facciata”. Il riferimento è al marketing che cavalca l’onda del green, fornendo informazioni fuorvianti su come i prodotti o le azioni di un’azienda siano rispettosi dell’ambiente, al solo scopo di attirare i clienti. 

 

Per contenere questo fenomeno, in Europa dal 2024 le grandi aziende multinazionali con più di 500 dipendenti saranno obbligate a raccogliere informazioni sul loro impatto ambientale, sui diritti umani, sugli standard sociali e sull’etica del lavoro sulla base di standard comuni e definiti a livello comunitario e poi divulgare regolarmente l’anno successivo. Dal 2025 gli obblighi si estenderanno anche alle aziende più piccole. 

  

5) Esempi virtuosi

I was a Sari, un progetto di moda etica e sostenibile, oltre che un percorso di emancipazione ed empowerment femminile per donne spesso provenienti da realtà marginali. 

La collaborazione tra Humana e Candiani Denim. A loro Humana fornisce jeans non più utilizzabili e già privati meccanicamente degli elementi metallici; Filatura Astro, a Biella, li tritura e ne ricava filato, che poi Candiani utilizza per realizzare un tessuto che combina questo filato (25%) con cotone rigenerativo”. 

Rifò (nome che riprende l’espressione toscana “rifare”), un progetto di moda sostenibile e circolare che propone capi ed accessori di qualità prodotti interamente a Prato e dintorni con fibre 100% rigenerate e rigenerabili. Pensati per essere riciclabili anche alla fine del loro ciclo di vita.

 

6) Dal passato al futuro 

Il vintage – termine che identifica capi rappresentativi della propria epoca che abbiano almeno 20 anni – è tornato di gran moda anche nel settore dell’abbigliamento, anche grazie ad app come Vinted e Depop.

La riparazione, e non solo dei capi che ci sono costati di più. 

Il lavoro a maglia e all’uncinetto.

 

7) Territorio

- Negozi dell’usato a Vigevano, Abbiategrasso e Milano (per adulti ma anche per bambini, a cui portare anche i propri capi in conto vendita)

- Negozi Share e Humana Vintage a Milano (Via Vigevano, Via De Amicis, Via Cappellari)

- 3 Menzioni speciali: il Vintage Solidale di Archè (che propone abiti e accessori nuovi e usati, donati da privati e aziende per sostenere i progetti della Fondazione Arché a favore di bambini e famiglie vulnerabili), il Lab Barona e ConservaMi, a Milano.

 

8) Per restare informat*

La Campagna Abiti Puliti, rete italiana dell’internazionale Clean Clothes Campaign – presente in 22 Paesi - che da 30 anni si impegna a difendere i diritti dei lavoratori nel settore tessile e ad intervenire dove questi diritti non vengono garantiti. 

Dalla raccolta firme attualmente in corso: “La povertà lavorativa è un fenomeno complesso che dipende da diversi fattori. Per combattere le sue cause strutturali, oltre al salario dignitoso, sono necessarie misure diverse e complementari di politica economica e fiscale, di natura legislativa e contrattuale.

Tra queste chiediamo all’UE di adottare una direttiva che imponga alle imprese l’obbligo di garantire il pagamento di salari dignitosi lungo l’intera catena di fornitura”.

 

La Federazione Humana People to People, che è una rete composta da 29 Organizzazioni attive in 45 Paesi tra Europa, Africa, America e Asia impegnate soprattutto nella raccolta degli abiti usati. Nel 2021 questa attività ha raggiunto le 130mila tonnellate grazie a circa 19 milioni di donatori stimati nel mondo, e i fondi raccolti tramite la vendita del materiale hanno permesso di finanziare 1.238 progetti di sviluppo a beneficio di 9,6 milioni di persone. In Italia Humana People to People è presente in 42 province e 1.200 comuni con circa 5.000 contenitori stradali.

 

Negli anni è aumentata la quantità di vestiti raccolti ma ne è diminuita la qualità, il che rende ancora più centrale la fase di selezione. Noi seguiamo tutta la filiera e di questo passaggio in particolare ci occupiamo a Pregnana Milanese (MI), dove tutti i giorni 30 colleghi aprono i sacchetti che la gente ci affida e ne catalogano il contenuto, cercando di ricavare da ogni capo il massimo valore possibile”. 

Gli output di questa operazione sono tre: il 67,5% è destinato al riutilizzo come vestito; il 25,5% circa è riciclato per recuperare le fibre e una piccola parte (7%) è destinata al recupero energetico. 

 

Gli abiti che arrivano in Africa attraverso Humana vengono donati solo in casi di emergenza. Altrimenti sono venduti a prezzi contenuti per finanziare i progetti. Lo scopo è infatti quello di creare non assistenzialismo ma occupazione e sviluppo. 

 

La Fashion Revolution Week, che si svolge ogni anno ad aprile per ricordare la tragedia di Rana Plaza e per sensibilizzare le persone – online ed offline – alla necessità di cambiare i connotati dell’industria della moda e a renderla più etica e sostenibile. #WhoMadeMyClothes 

 

9) Consigli di lettura/visione

The true cost”, il documentario che nel 2015 ha descritto e svelato la realtà drammatica della fast fashion a livello globale.

 “Stracci”, il documentario del 2021 che parte da Prato e viaggia in tutto il mondo, affrontando il tema dell'impatto ambientale dell'industria della moda. Il cuore del documentario è il racconto di un'esperienza di economia circolare straordinaria, antichissima e tornata di grande attualità: quella del riciclo della lana da parte delle industrie tessili del distretto pratese.

I vestiti che ami vivono a lungo”, il libro che Orsola De Castro – co-fondatrice della Fashion Revolution Week – ha scritto nel 2021 per ribadire il valore del riuso e della riparazione dei vestiti che già possediamo. Con riflessioni teoriche ma anche con tanti consigli pratici.

 

10) Dalle parole ai fatti 

- Partecipa ad uno swap party od organizzane uno con le amiche, per cominciare!

- Partecipa alle fiere dedicate alla sostenibilità che si svolgeranno in Italia nei prossimi mesi (Fa la Cosa giusta Milano, 24-26 marzo; Rivestiti Bologna, 1-2 aprile)

- Segui la prossima Fashion Revolution Week (22-29 aprile) e spargi la voce

 

- tieni d’occhio le raccolte benefiche delle associazioni attive sul territorio. Le donazioni sono più sicure se “mirate”, cioè riferite ad esigenze specifiche e contingenti.